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Mentre la situazione ci abitua a dosare con parsimonia le interazioni personali, cambiano e aumentano le aspettative verso i momenti di incontro. Ci vediamo di meno, perciò vogliamo vederci meglio: una pretesa che non risparmia i comportamenti di consumo e le occasioni di contatto con brand, aziende e prodotti. Se già ieri era importante arricchire fiere, retail ed eventi in presenza con esperienze appaganti e dense di significato, oggi è semplicemente la regola. Anzi, la nuova normalità.
Per comprendere a fondo la portata, anche temporale, dei meccanismi a cui stiamo assistendo, dobbiamo prima accettare che un fenomeno di dimensioni globali come questa pandemia produrrà cambiamenti destinati a durare anche dopo che l’evento sarà – sperabilmente – passato.
Perché si tratta di cambiamenti non solo pratici, ma anche culturali.
Senza addentrarci troppo in questioni di storytelling sociologico, quel che accade è che, di fronte a pericoli seri, tanto gli individui quanto le società sono molto più propensi, rispetto ai periodi di serenità, a rileggere e riscrivere le proprie autobiografie, cioè in pratica a cambiare i propri schemi di valore per adeguarsi a nuove differenti necessità. Una mobilità in ogni ambito – sociale, culturale, imprenditoriale, di consumo – che è l’altra faccia della medaglia di tutti i periodi in qualche modo critici.
È stato questo meccanismo di reazione ad accelerare e amplificare le oscillazioni che abbiamo visto agitare il mercato dall’inizio della pandemia. I comportamenti di consumo sono cambiati molto più rapidamente che mai, con nuove abitudini d’acquisto, rimescolamenti delle tendenze e fedeltà ai brand che si sono fatti sempre più liquidi.
Questa breve premessa mi serve solo per sgombrare il campo da equivoci per i ragionamenti a seguire: chi si sta ancora chiedendo quando le cose torneranno alla normalità è destinato a restare deluso. Alla luce della dimensione e della durata del fenomeno, l’unico “ritorno alla normalità” possibile è costruire una nuova normalità.
Un futuro che si sta ancora delineando all’orizzonte, ma se da qui non è ancora visibile per intero, qualche idea, su quel che difficilmente tornerà com’era prima, la possiamo azzardare.
Ora, fra i tanti ambiti della vita sociale toccati dal Covid, l’interazione fisica fra le persone è sicuramente uno dei più duramente colpiti. Non solo la cena in casa o l’aperitivo con gli amici, ma anche le occasioni d’incontro del mondo del lavoro e del consumo.
In alcuni casi si è potuto surrogare la socialità, anche se non sostituirla, con gli strumenti di incontro e di acquisto digitali. Altri tipi di eventi si sono semplicemente congelati in attesa di tempi migliori: è successo ai punti vendita, agli showroom e soprattutto, e più a lungo, alle fiere. Certo, i negozi hanno riaperto abbastanza presto e di recente siamo timidamente tornati a occuparci delle fiere. Ma la cautela resta diffusa.
Comunque vadano le cose, dell’incontro di persona non avremo più la stessa percezione che avevamo prima. Vuoi per l’effetto scarsità che ci ha ricordato quant’è importante poter interagire coi nostri simili, vuoi per i rischi sanitari che ci hanno abituato a limitarci agli spostamenti strettamente indispensabili, certo è che nella borsa dei valori umani il contatto personale è diventato una merce pregiata.
E questa rivalutazione diffusa non si traduce solo in desiderio quantitativo, ma anche qualitativo: non possiamo incontrarci quanto vorremmo, a maggior ragione vogliamo almeno incontrarci meglio.
Aspettative di cui dovranno tenere conto anche le aziende che progettano i luoghi, i tempi e i modi dell’interazione con i propri pubblici. Che tipo di design e comunicazione ci chiederanno fiere, punti vendita, showroom ma anche convention aziendali e meeting commerciali di domani?
Insomma, mi aspetto che in futuro consumatori e collaboratori tollereranno sempre meno di spendere il proprio tempo insieme ai brand e alle aziende, senza ricevere un effettivo valore in cambio.
E questo sarà vero tanto in modalità reale che virtuale. Di persona perché, come abbiamo visto, l’occasione di incontro sarà sentita come sempre più preziosa. In virtuale, perché in quel tipo di interazione, seppure più facile da realizzare, sarà sempre più forte il bisogno di compensare la mancanza di fisicità con altri valori.
E c’è solo un modo per garantire a un’esperienza un soddisfacente grado di realtà: il suo significato. Non a caso per dire “importante” diciamo “significativo”.
Alle fiere, alle visite negli store e a tutte le interazioni personali di domani chiederemo quindi di essere momenti sempre più ricchi di senso. Che si tratti di emozioni, informazioni, stimoli sensoriali, relazioni, avremo sempre meno tempo e pazienza per incontri ravvicinati con i brand che non ci lasciano niente, umanamente parlando.
Un colpo di grazia definitivo riceverà certamente, per esempio, la logica della pura esposizione dei prodotti. E per fortuna, visto che era vecchia già prima del Covid.
E lo sta diventando sempre più velocemente, mentre varie fasi di lockdown hanno reso l’e-shopping una consuetudine per un pubblico sempre più ampio.
Ma attenzione: non sto dicendo che morirà l’esposizione in sé, ma la sua versione da fiera campionaria del passato, ormai inflazionata, vuota e fine a sé stessa.
Da decenni ormai il prodotto non è più il motivo per cui ci emozioniamo, neanche quando sembra esserlo. Nemmeno quelli di grande valore tecnico come l’ultimo iPhone, la nuova Tesla o qualsiasi altro prodotto vi entusiasmi, ci farebbero battere il cuore come fanno, se un lavoro sapiente di marketing e posizionamento non li avesse legati a doppio filo con i nostri intimi sogni, speranze e desideri.
Tutt’altra fortuna, invece, avranno quindi quei design di stand, punti vendita etc, che sapranno mettere il prodotto al centro di un’esperienza di valore pieno, traducendo i valori del brand in una rete di stimoli significativi da cui le persone usciranno con la sensazione di essersi arricchite.
Tirando le somme, il futuro delle fiere e di tutte le occasioni di contatto con i brand sarà all’insegna sempre più esclusiva del rapporto autentico. Proprio dove contatto fisico e numero di persone saranno, ancora per un po’, limitati, avremo il compito di ripensare l’esperienza espositiva in un’ottica sempre più umana.
Dalla gestione dei flussi del pubblico alla scansione dei momenti di avvicinamento al prodotto, dalle percezioni sensoriali alle evocazioni che le sostituiscono quando la sensorialità è limitata, il nostro compito come imprenditori, comunicatori e designer sarà di mettere le persone al centro del marketing più di quanto abbiamo mai abbiamo fatto finora.
Passando, magari, anche per un’integrazione finalmente intelligente fra reale e virtuale, dove tecnologie come la realtà aumentata e l’on-life, sempre più diffuse e quindi sempre meno novità in sé stesse, non saranno più autoreferenziali ma strumenti per arricchire la visita di informazioni e narrazioni, meglio ancora se create su misura per l’utente.
Su tutto, qualunque sia la tecnologia in ballo, emergerà lo spessore emotivo e personale che sapremo costruire, reinventando i design degli spazi e delle strutture come veicoli di sensazioni ed emozioni posizionanti per il brand. Con in mente quel principio che da tempo cerchiamo di integrare nelle strategie di marca dei nostri clienti: il tuo brand non mi interessa nella misura in cui parla di sé, ma per quanto, parlando di sé, riesce in realtà a parlare di me.