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Non si è mai parlato di lead generation tanto come in questo periodo. E non certo perché si tratti di una novità: l’acquisizione di contatti interessati all’offerta di un brand è una delle strategie di marketing digitale più utilizzate da sempre. Ma nell’era del boom dell’email marketing, e della privacy e cookie policy, i lead sono il “nuovo oro” di cui le aziende non possono più fare a meno. Un tesoretto imprescindibile che è arrivato il momento di far fruttare se vogliamo che le nostre comunicazioni online siano davvero efficaci.
Partiamo dalla base: cosa significa fare lead generation (e soprattutto, cosa significa oggi)? La lead generation è una strategia che coinvolge più canali e piattaforme per il raggiungimento di un unico scopo: acquisire contatti in target, interessati alla nostra offerta, che attraverso il consenso alla privacy ci autorizzano a inviare comunicazioni di vario genere. Si tratta di “dati di prima parte” che da lead dobbiamo trasformare in clienti, attraverso un contatto diretto.
Entriamo un po’ più nello specifico: attraverso la lead generation possiamo acquisire un certo numero di indirizzi email che diventeranno il nostro database, a partire dal quale attivare una strategia di e-mail marketing efficace. Persone che da lead possono arrivare ad acquistare il nostro prodotto o servizio, o semplicemente portare a una conversione.
Semplice no? Nella teoria tutto è semplice.
Oggi più che mai le persone sono consapevoli del valore dei propri dati personali, e per scegliere di regalarli proprio a noi devono avere davvero un ottimo motivo. Non basta più scambiare semplicemente il dato con un codice sconto o un materiale creato ad hoc: è indispensabile creare valore, convincere il proprio target di riferimento con contenuti interessanti e una promessa di qualità. Ma soprattutto dobbiamo dare loro un ottimo motivo per rimanere dopo aver conquistato la loro fiducia.
È importante quindi individuare i desideri e le urgenze del proprio target, stuzzicare la sua curiosità, muovere l’interesse. Dobbiamo strutturare una strategia su misura, che vada a colpire le persone giuste per la nostra specifica offerta.
All’inizio di questo articolo ho parlato di dati di prima parte (anche detti dati proprietari), ma cosa significa? Si tratta per l’appunto di quei dati che le aziende acquisiscono direttamente dagli utenti, nel rispetto della privacy, e che ci danno informazioni più chiare e definite dei più classici e utilizzati dati di terza parte, che derivano da piattaforme esterne.
E se fino ad oggi abbiamo potuto utilizzare questi dati in modo incrociato, il terremoto che sta coinvolgendo il mondo del digital marketing ci obbliga a lavorare sempre di più con dati di prima parte.
La nuova Cookie Law e i banner per la scelta delle preferenze di tracciamento limiteranno notevolmente i dati che potremo raccogliere. A questo si aggiunge l’annuncio di Google, che nel 2023 abbandonerà i cookie di terze parti su Google Chrome, e gli aggiornamenti dei sistemi operativi iOS 14 e 15 che permetteranno all’utente di scegliere se accettare il sistema di tracciamento o rifiutarlo. Un approccio in linea con la massima tutela della privacy degli utenti, che ci obbliga però a ripensare anche le attività di advertising.
È quindi senza dubbio il momento di cominciare ad acquisire dati di prima parte attraverso la lead generation, per non farci trovare impreparati quando la situazione si sarà assestata, ma ci presenterà un contesto completamente diverso per la buona riuscita di attività di performance marketing.
In questo articolo non entrerò in verticale sulle modalità per fare lead generation per un semplice motivo: tutto dipende dal brand, dagli obiettivi, dal tipo di conversione che vogliamo ottenere, dall’offerta che possiamo proporre e da tantissimi altri aspetti che è importante valutare di volta in volta.
Quello che però è sempre valido è l’approccio. Scegliere di mettere in piedi un’attività di lead generation senza una definizione a priori delle modalità e delle opportunità, è già in partenza un più che probabile buco nell’acqua. Come già detto, le persone sono poco propense a condividere con chiunque i propri dati sensibili, soprattutto se non c’è un effettivo e interessante ritorno.
E non si tratta semplicemente di offrire qualcosa in cambio. Significa dare un reale motivo per entrare a far parte di una community, un riconoscimento tra il brand e l’utente, dove quest’ultimo manifesta un desiderio reale e autentico.
Una promessa che è fondamentale poi continuare a mantenere in ogni singola attività digital, se vogliamo costruire una community il più possibile solida e fedele. Una vera e reale promessa di valore.