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Anche se per noi comunicatori la vecchia divisione fra B2B e B2C sta da tempo perdendo i suoi contorni nitidi, resiste ancora tenacemente, nel quotidiano delle aziende, una visione degli stakeholder professionali quali macchine calcolatrici, indifferenti, se non addirittura insofferenti, alla comunicazione emozionale. Un luogo comune che, messo da parte, può invece lasciare spazio a nuove strategie di comunicazione B2B molto più efficaci di una fredda comunicazione tecnica.
Abbiamo già riflettuto di recente su come il Covid stia modificando le interazioni sociali e come ripensare l’incontro, reale e virtuale, per il dopo pandemia.
E abbiamo previsto che i cambiamenti in corso comporteranno aspettative diverse da parte del pubblico, rispetto al passato, verso le esperienze di contatto con i brand.
È vero che su questi fenomeni ad oggi non abbiamo dati e quindi men che meno un quadro condiviso. Dovremo aspettare che le acque si calmino e siano pubblicati gli studi statistici, per ragionare “a bocce ferme” sulle dinamiche di questi ultimi anni. E anche lì, è probabile che sociologi, psicologi e analisti di marketing discuteranno a lungo.
Nel frattempo, il compito di esplorare soluzioni e risposte sugli scenari ancora in evoluzione ricade su chi come noi lavora sul campo, orientandoci in base alle nostre letture del contesto, al nostro senso del mercato e all’empatia per comprendere i sentimenti, le istanze e i desideri della società.
Per questo voglio quindi aggiungere, alle riflessioni in corso, alcune osservazioni, frutto della visione particolare di cui beneficiamo noi account, sempre nel mezzo fra creativi e clienti, fra agenzie e mondo imprenditoriale.
Per le mie considerazioni voglio prendere spunto da due interventi che abbiamo concretizzato di recente, e che considero interessanti perché si collocano agli antipodi, fra le casistiche possibili di questi tempi.
Il primo, risalente all’anno scorso, è emblematico: la convention con la forza vendita di una grande azienda italiana dei salumi, in cui si è dovuto sostituire l’evento di persona con un meeting in modalità virtuale. All’estremo opposto, invece, il caso di un “normale” meeting con gli agenti, nel senso che si è svolto in presenza, ma che non poteva comunque non tener conto della situazione generale radicalmente cambiata.
Prima di procedere, voglio evidenziare due elementi comuni che, pur fra le differenze, legano i due progetti in questione.
Il primo è l’ambito d’intervento: non solo squisitamente B2B, ma diciamo pure below the line. Per sua natura la forza vendita – agenti, distributori e collaboratori vari – pur non essendo composta solo da dipendenti, si muove all’interno delle politiche di marketing e di comunicazione aziendale, ne conosce gli obiettivi e spesso anche i dietro le quinte.
L’altro elemento comune era il momento strategico: entrambe le aziende coinvolte erano sul punto di lanciare una nuova attività di branding: un nuovo posizionamento della storica marca per la prima, il lancio di un nuovo brand per la seconda. Due momenti dal peso chiaramente decisivo.
Per un motivo e per l’altro, perciò, su entrambi gli eventi – e sui rispettivi investimenti – si riversavano aspettative importanti.
In entrambi gli interventi dunque, il pubblico era rappresentato da un target doppiamente B2B. Un pubblico che però meritava altrettanta attenzione strategica del consumatore.
Nelle dinamiche che decidono la fortuna commerciale di un prodotto o un brand, la percezione e l’emotività della forza vendita hanno un ruolo cruciale. Non si contano i progetti di posizionamento eccellenti che si sono arenati per una scarsa ricezione da parte degli agenti, così come non è raro vedere prodotti poco o per niente supportati da attività strategiche di branding, che hanno però attecchito nel mercato grazie a una forza vendita resa proattiva da una buona motivazione verso il brand.
Conquistare la propria forza vendita, per un brand o per un prodotto, è proprio il primo decisivo banco di prova. Quindi è proprio di percezione, motivazione, seduzione che ci dobbiamo occupare, anche quando si parla di agenti, collaboratori e rivenditori.
Quando il destinatario di un’iniziativa è la forza vendita, sia quella interna all’azienda che gli agenti terzi, la comunicazione si fa importante, ma anche complessa, perché deve convincere il suo primo, vero obiettivo.
Se non conquista prima di tutto l’agente, un prodotto sarà sempre svantaggiato.
E per quanto l’argomento sia delicato, è giusto sfatare anche il luogo comune per cui l’agente, per il fatto di condividere in qualche modo i destini dell’azienda di cui vende i prodotti, sarebbe automaticamente motivato ad ottenere il massimo risultato. Non che l’agente non sia ben intenzionato, naturalmente. Ma sono molti i fattori che possono influenzare l’efficacia del suo lavoro, e che possiamo mettere in campo per aiutarlo a massimizzare i risultati.
La comprensione del prodotto, per esempio: per quanto attento e professionale, è plausibile immaginare che un rappresentante commerciale presenterà tanto meglio un prodotto quanto più l’ha compreso a fondo. E questo dipende non solo da quanto è stato formato al riguardo, ma anche da quanto questa informazione gli è stata trasmessa in modo efficace e memorabile.
O ancora, dato che non esiste un lavoro relazionale in cui la componente umana non sia fondamentale, l’efficacia dell’azione commerciale non può non dipendere da quanto le leve di posizionamento del prodotto, i suoi vantaggi oggettivi ma anche emotivi, sono stati accolti dall’agente, che li ha fatti propri. Per dirla semplice: da quanto l’agente crede in ciò che vende.
Conoscenza, comprensione, convinzione.
La somiglianza di termini non può non saltare agli occhi: quel che serve a un agente per accompagnare sul mercato un brand o un prodotto non si discosta molto da quel che serve al consumatore finale per diventare un affezionato cliente.
Ecco il punto. Pur muovendosi entro vincoli professionali e contrattuali che danno per scontata la sua adesione incondizionata al prodotto, anche l’agente commerciale, in quanto essere umano (e diciamolo, anche potenziale cliente), ha bisogno di innamorarsene.
Perciò non sembri esagerato se mi azzardo ad adoperare, anche in una comunicazione B2B di primo livello come questa, il concetto di solito squisitamente B2C di fedeltà al brand.
Una fedeltà alla marca che nel caso della forza vendita ha anche delle sfumature peculiari. Pensiamo ad esempio al senso di appartenenza: se per il consumer appartenere al gruppo di fedeli al brand è fonte di gratificazione, possiamo immaginare quanto questa leva agisca più intensamente su chi, come agente, può sentirsi a pieno diritto parte reale e concreta della squadra di brand. Con tutto il portato di orgoglio che questo può produrre.
Alla luce di questa consapevolezza, tra l’altro, potremmo persino cominciare a riabilitare alcuni casi – non tutti, per carità – di comunicazione da convention aziendale, spesso liquidati come “motivazionali”.
Talvolta potrebbe trattarsi, infatti, di un’attività di posizionamento di brand ben eseguita nei confronti della forza vendita, in grado di generare un tale affiatamento nei collaboratori commerciali da renderli, di fatto, più motivati. Ma più che di motivazione, rimane una questione di branding.
Ma torniamo ai nostri casi concreti di lavoro.
Il primo, la Levoni connection, è il nome coniato per il meeting annuale di Levoni con i propri agenti. Evento che, nel bel mezzo delle stringenti regole del primo lockdown, dopo aver rischiato di saltare si era dovuto riconvertire in una convention digitale da remoto.
Levoni però, proprio in quel momento, si preparava a lanciare in maniera consistente il risultato di un anno di lavoro sul proprio posizionamento di brand.
Un potenziamento del suo principale asset di marketing che non poteva perdere l’occasione di essere anche un forte volano commerciale, poiché, come abbiamo detto, poche cose coinvolgono il corpo vendita come l’orgoglio di far parte di un brand forte e affascinante.
Per ovviare alle limitazioni è nato così il progetto Levoni Connection.
L’idea è stata guidare alla scoperta del nuovo approccio di brand con strumenti multimediali, primariamente video ma anche immagini e una regia di presentazioni studiata nei dettagli, in grado di aumentare la temperatura anche all’interno della cornice, necessariamente tiepida, del meeting virtuale.
Producendo, nonostante i limiti del medium, una risonanza emotiva degna di un evento in presenza, le persone dell’azienda e della forza vendita hanno potuto condividere i valori, le percezioni e le emozioni profonde che il mercato avrebbe associato, di lì a poco, alla nuova comunicazione Levoni. Un tornasole semplice ma significativo del coinvolgimento, in quel caso, è stato il livello di attenzione.
Particolare attenzione, durante l’evento, è stata posta infatti ai feedback non verbali del pubblico, verificando un livello più che soddisfacente di coinvolgimento proprio durante la trasmissione dei contenuti strategici del meeting. In particolare, abbiamo potuto verificare una corrispondenza fra il tenore emotivo del messaggio e l’attenzione prestata dagli spettatori, a riprova che l’ambito B2B non è per niente allergico come si vorrebbe alla comunicazione emozionale.
I feedback raccolti in seguito sulla brand loyalty generata, così come l’andamento generale delle successive azioni di branding, hanno del resto confermato un’adesione compatta a un rebranding che, per la sua radicalità, avrebbe potuto invece incontrare più di una resistenza, da parte di una forza commerciale consolidata come quella di Levoni.
Tutto l’opposto, apparentemente, capitava a Kollant, marchio afferente al colosso Adama.
Il brand, leader della fitoprotezione, si apprestava a lanciare nel corso del meeting annuale con gli agenti il proprio marchio Verdevivo, una linea del tutto innovativa di prodotti protettivi a base naturale per le piante, in alcuni casi anche biologici.
Rispetto al comparto a cui appartiene, e anche al suo catalogo consueto, con Verdevivo Kollant si preparava a dare un forte scossone al proprio mercato, e il primo decisivo test su strada del brand sarebbe stato proprio il gradimento del lancio da parte della sua forza commerciale.
Di pluriennale esperienza e avvezzi a muoversi in un settore governato da solide e collaudate certezze, lavorando spesso a gomito con piccoli e grandi produttori agricoli, gli agenti rappresentavano perfettamente il primo indicatore della possibile accoglienza di una novità come Verdevivo.
Anche se le restrizioni Covid, in parte rientrate, non avevano ostacolato l’evento di presentazione, la crucialità del momento per le strategie di Kollant richiedeva un approccio fuori dalle retoriche comuni. L’idea centrale, in accordo con il team marketing interno, è stata far ricorso a un nuovo format in via di affermazione nel mercato della comunicazione: il podcast.
Sovvertendo la logica classica del meeting, che si vuole festoso, cerimonioso e illuminato a giorno, il meeting Kollant si è aperto su un palco in piena oscurità.
Al buio si è sovrapposta dopo alcuni secondi una semplice voce fuori campo che ha percorso uno storytelling emotivo, a tratti ironico, per bocca di un ipotetico consumatore tormentato dai tipici bisogni del target di settore. Un racconto che si è arricchito in un secondo momento di stimoli visivi, ma senza cedere la sua funzione prioritaria di veicolo del messaggio.
L’intera esperienza uditiva, confluita poi in un’animazione di presentazione del brand, ha quindi anticipato il benvenuto e l’apertura vera e propria del meeting. Ma ha lasciato sull’intero evento l’eco di quell’attacco a sorpresa, coreografico, e di un tipo di comunicazione più umana di quanto non sia consueto nel settore.
In questo caso come nel precedente, i feedback raccolti sia sul momento che in seguito hanno mostrato un tasso di attenzione soddisfacente, e un altrettanto gradimento da parte del target, che lascia ben sperare per il futuro in una adeguata condivisione del posizionamento di marca da parte della forza vendita.
Casi diversi e non sufficienti a costituire un campione statistico, ma certamente entrambe le esperienze, insieme alle riflessioni che ne sono scaturite tanto con il cliente quanto in agenzia, non fanno che confermare quel trend di cui si comincia ormai a parlare: lo sdoganamento anche nell’ambito B2B della comunicazione emozionale, fino a ieri appannaggio esclusivo del mondo B2C.