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Anche uno studio UNA lo conferma: il driver di ripresa è la comunicazione in store. Ma è importante che sia ben integrata nel marketing
Dell’impatto della pandemia discuteremo a lungo, ma per chi lavora sul campo alcuni effetti sono già chiari. Non si è invertito, ma anzi è accelerato, un trend che sosteniamo da tempo: la comunicazione nel punto vendita è sempre più strategica. E nella ripresa post-Covid le performance saranno trainate ancor maggiormente dagli strumenti in store. Uno scenario dipinto anche dal report di UNA, l’associazione delle aziende di comunicazione che raccoglie, insieme a Weagroup, le più apprezzate agenzie d’Italia. E che conferma: se ieri il retail era importante, oggi è irrinunciabile. Ma non sarà l’unico aspetto a decidere chi vince e chi perde.
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La comunicazione nel punto vendita ha a disposizione storicamente molti strumenti: il volantino, l’affissione convenzionale, le isole promozionali. A questi si sono aggiunti strumenti digitali come i megaschermi e i totem più o meno interattivi. Non solo l’abbondanza e la varietà di mezzi di comunicazione concentrati in un singolo ambiente, ma anche l’altissima frequentazione e in un momento così vicino alla scelta d’acquisto, fanno sì che GDO, GDS e centri commerciali, che già erano uno scenario fondamentale per il marketing, oggi sono a pieno titolo studiati come un vero media, il “settimo media” appunto. Un ruolo fondamentale che il punto vendita stava già assumendo con le proprie forze, ma che l’impetuosa trasformazione in atto sta definitivamente confermando.
Per questo motivo, nel cosiddetto “ultimo miglio” della customer journey, si stanno concentrando sempre più le energie del marketing: se il retail è un canale che non possiamo non presidiare, la comunicazione in shop vendita diventa centrale.
Questi trend, che si manifestavano da un po’ nel settore, hanno finalmente trovato una conferma statistica anche in uno studio ufficiale, realizzato da UNA – Aziende della Comunicazione Unite, che fotografa i cambiamenti nel segmento retail e il relativo nuovo ruolo – e peso – delle attività di comunicazione al suo interno.
Fatta eccezione per la fase di vera e propria emergenza sanitaria, con le sue rigide limitazioni, la frequentazione della Grande Distribuzione Organizzata cresce in frequenza: ben l’83,7% delle persone oggi visita almeno una volta al mese un punto vendita GDO, seguito dai centri commerciali, con visite intorno alle 1,6 volte al mese, dalla GDS con una frequenza di 0,9 volte al mese e infine dagli outlet, che totalizzano 0,6 visite al mese (il 29,7% dei consumatori li visita almeno ogni due mesi).
Se la frequenza di visita aumenta, ancor più interessante è l’ampia visibilità ottenuta dai brand all’interno dei punti vendita. Una percentuale dei visitatori pari all’89% infatti nota almeno un messaggio pubblicitario, un’attenzione ai diversi strumenti di comunicazione alquanto trasversale fra i target, con una maggiore visibilità nelle fasce demografiche dei 45-54enni (91,7%) e dei 55-64enni (93,3%).
Il primo posto, fra i mezzi oggetto di maggiore attenzione, spetta al grande classico del comparto: il volantino. Con un quota notevole: lo notano ben l’86% dei clienti. Seguono le isole promozionali con il 69% e locandine con il 64%. In fascia media si collocano banner e striscioni (59%), totem (digitali e non, con il 58%), affissioni sui carrelli della spesa (56%) e monitor/led wall (49%). Chiudono, nettamente meno visti, i floor sticker, con il 34%.
E forse ancor più interessante del tasso di visibilità, per gli addetti ai lavori, è l’impatto della comunicazione sul comportamento del consumatore. Ben 1 italiano su 2 (49%) è stato influenzato dalla comunicazione nell’ultimo miglio di mercato. Un numero più che incoraggiante, e da non sottovalutare, che tocca livelli ancor più decisivi (con l’asticella al 60%) nella fascia dei 24-34enni, e arriva addirittura al 64% nei visitatori fra i 35 e i 44 anni.
Un’influenza che sappiamo essere prodotta non solo, come prevedibile, dalla comunicazione informativa, che offre al cliente una migliore conoscenza del prodotto o servizio pubblicizzato, ma anche da quella interessante e coinvolgente, in grado di attirare l’attenzione: un’accoglienza spesso sottovalutata, nel mondo retail, alla comunicazione promozionale, purché votata all’utilità nel processo di acquisto.
Ma non è solo la comunicazione classica, fra gli strumenti al servizio del marketing in store, a meritare più attenzione nel prossimo futuro.
Nella confusione del punto vendita, normalmente affollato di richiami visivi, uditivi e olfattivi, il segreto per emergere è la polisensorialità. Anche i dati dello studio UNA concordano. Le isole promozionali guidano la spesa: più di 2 su 3 (69%), fra i consumatori che le notano, ne sono colpiti positivamente rispetto alle decisioni d’acquisto. E non a caso l’efficacia delle isole è confermata soprattutto per quelle che offrono al visitatore un’esperienza multisensoriale: ben il 64% dei visitatori sono incoraggiati all’acquisto dopo essere entrati in contatto con un’isola promozionale progettata per colpire con ricchi riferimenti ai sensi. In questo senso, la massima influenza riguarda il target femminile della fascia demografica fra i 25 e i 44 anni, che registrano una considerevole percentuale di impatto sull’acquisto: ben il 75%.
Fra gli strumenti che non smettono di funzionare nella comunicazione per il punto vendita, certamente merita il posto d’onore il volantino, un’istituzione del retail. Anche qui, lo studio UNA porta una conferma con i dati: il volantino non mostra i segni dell’età. Quanto a capacità di influenzare le scelte d’acquisto è ancora il driver primario, con una lusinghiera percentuale del 77% degli utenti che risente della sua influenza nei propri acquisti. Più che ottima anche l’attenzione dedicatagli dal pubblico: lo sfoglia l’87% di chi lo riceve a casa, il 45% lo consulta con attenzione e il 42% lo studia scrupolosamente prendendo nota delle offerte. Infine, quasi 1 italiano su 2 (48%) presta attenzione all’inserimento di pubblicità di prodotti e servizi che reclamizzano promozioni dedicate ai lettori.
Naturalmente, alla forza immutata degli strumenti tradizionali si affianca sempre più la crescita degli strumenti digitali: il cambiamento di abitudini di acquisto prodotto dalla pandemia ha promosso certamente l’adozione e aumentato la visibilità dei canali online ed e-commerce. Il 47% dei consumatori infatti oggi ha visitato il sito web o la pagina social dei suoi negozi abituali. Sale al 73% la percentuale di quelli che ha fatto almeno un acquisto online negli ultimi 12 mesi e il 37% ha acquistato un prodotto o servizio dopo averne visto una pubblicità sul sito o nei canali social. Quasi la metà dei consumatori, inoltre, considera positivamente la possibilità di fruire dei servizi di click & collect eventualmente resi disponibili dai suoi negozi di fiducia. Una possibilità in più che comporta di integrare la comunicazione in modo profondo, nelle dinamiche di gestione del dettaglio.
Fin qui le tendenze visibili, misurabili sui dati concreti, e proprio per questo fotografati anche dal report di UNA. Ma ci sono anche, come sempre, implicazioni meno evidenti, che crediamo sia importante portare in evidenza, e che per essere colte richiedono di proiettare i dati su uno scenario più ampio.
Abbiamo usato più volte, in questo articolo, l’espressione “ultimo miglio”, con cui si indica talvolta il retail. È un modo di dire significativo: l’esperienza del consumatore all’interno del punto vendita rappresenta infatti il tratto finale, il completamento di un percorso iniziato prima e fuori dallo store, nella vita di tutti giorni del pubblico, attraverso messaggi pubblicitari e percezioni molteplici, che arrivano attraverso i media (gli altri), i social, il passaparola etc.
Il momento di grande interesse sollevato dalle sue performance crescenti non deve quindi spingerci a pensare al punto vendita come chiuso in sé stesso. Anzi, se l’avvento del phygital ci ha insegnato qualcosa è che dovremo guardare sempre più alla civiltà delle comunicazioni come a un continuum, un tessuto di segnali di comunicazione in cui non esistono confini netti, ma ogni comunicazione e canale sfuma in quelli confinanti, sovrapponendo tutti messaggi in un’unica grande percezione delle marche.
In termini concreti, siamo convinti che il potenziale di trazione del retail verso i consumi e le performance sarà tanto più facile da sfruttare quanto più inserito in una strategia di marketing integrata e completa. Un’integrazione che comporta responsabilità nei due sensi, per gli imprenditori.
Da un lato, chi ha seminato con adeguati investimenti in posizionamento del brand dovrà stare pronto, in prima linea, sul versante retail, perché è lì che potrà raccogliere dei risultati di performance che saranno il coronamento dell’attività precedente.
Dall’altro, chi ha sempre curato con attenzione la comunicazione nel punto vendita, dovrà riconsiderare sempre più la sua strategia fuori-store, perché la competizione sempre più stretta nel negozio farà rapidamente emergere i brand ben posizionati, il cui valore di marca fa “da sponda”, sostenendo il messaggio in store.
In entrambi i casi, il prossimo periodo del marketing metterà alla prova, premiando o penalizzando, non solo la capacità di comunicare creativamente in sé e per sé, quanto la visione strategica d’insieme e la sua capacità di applicarla lucidamente ai propri piani di marketing.