WEAGROUP
- Agenzia di comunicazione e strategia di marca -
Tempo di lettura 9 minuti, 19 secondi
Quasi 14 milioni di italiani, il 15% in più dell’anno precedente, hanno ascoltato almeno un podcast nel corso del 2020. Il lockdown, che ha incrementato l’utilizzo di tutti i media digitali, ha sicuramente parte della responsabilità di questo aumento del numero di ascoltatori. Ma l’ascolto non si è limitato al periodo in cui ci siamo ritrovati, un po’ tutti, a cercare nuovi modi di impiegare il tempo in casa. Lo conferma anche Nielsen: l’ascolto di podcast è rimasto costante per tutto l’anno, dimostrando che per molti l’uso di questi contenuti è divenuto un’abitudine.
Ma perché proprio i branded podcast fanno così gola alle imprese?
Per comprendere appieno l’importanza che sta assumendo il fenomeno del podcasting in questi ultimi anni, facciamo un passo indietro agli anni ’70. Il digitale in quel periodo è ancora ai suoi albori. L’ecosistema mediatico però, tra radio, giornali e televisione, è già variegato e competitivo. Nel 1971 l’economista Herbert Simon, dopo aver indagato le logiche di fruizione dei mass media, introduce per la prima volta il concetto di “economia dell’attenzione”. Con questa definizione Simon spiega come l’attenzione possa essere considerata il collo di bottiglia dell’essere umano, un filtro che limita l’apprendimento dei segnali in un ambiente stimolante.
Col senno di poi è facile comprendere come le tematiche trattate dagli studiosi in quegli anni siano oggi più che mai attuali. Se nel 1971 gli stimoli visivi e uditivi erano relativamente pochi, oggi, dal mondo digitale all’offline, le sollecitazioni sensoriali sono praticamente infinite. Basta scorrere il feed di una qualsiasi piattaforma per essere letteralmente bombardati da immagini, video e testi, oppure soffermarsi sull’evoluzione della televisione che ha moltiplicato canali, modalità di fruizione, content.
L’attenzione però, come abbiamo detto, è una risorsa limitata. L’utente ha bisogno di concentrarsi su un numero di contenuti ristretto, ignorando o considerando in modo relativo la maggior parte dei messaggi. Anche e soprattutto, ovviamente, quelli pubblicitari. Tutto ciò fa sì che gli investimenti in comunicazione di un’azienda rischino di andare a segno solo in minima parte, stravolgendo l’equilibrio indispensabile tra costi e benefici. Trovare una soluzione per non diventare invisibili nel mare dei contenuti mediali è quindi obbligatorio.
Insomma, l’obiettivo è catturare l’attenzione dell’utente: lo è per i media come per i content creator, se vogliono assolvere al compito di valorizzare al massimo gli investimenti pubblicitari delle aziende. Se ai media tradizionali come la televisione e la carta stampata aggiungiamo quelli digitali come i social, i siti web, le testate digital e i blog, o ancora i media strutturalmente tradizionali ma di nuova concezione come le piattaforme di streaming, non possiamo non riconoscere che mentre gli spazi si moltiplicavano le possibilità di emergere si sono fatte via via più esigue.
Per passare da un percorso ad un processo di comunicazione efficace è indispensabile quindi creare contenuti realmente validi e utili per gli utenti: dobbiamo cioè passare dalla nostra personale soddisfazione di dire ciò che vogliamo dire alla capacità di raccontare ciò che il nostro potenziale cliente vuole ascoltare. E le persone vogliono ascoltare storie, grandi storie che sappiano coinvolgere, stupire, commuovere, aggregare.
Il podcast in questo senso è la nuova – se qualcosa di nuovo è ancora possibile – frontiera, perché supera i limiti dell’attenzione visiva e ci restituisce la dimensione ancestrale e ambita dell’ascolto, permettendo una concentrazione dilatata nel tempo. Non solo: non obbligandoli ad interrompere le proprie attività per usufruire dei contenuti, il podcast può raggiungere i consumatori (o meglio: essere raggiunto da essi) praticamente in qualsiasi momento della giornata.
Per questo negli ultimi anni motori di ricerca, social media, testate web e blog si stanno concentrando sempre più sull’audio, per conquistare l’attenzione degli utenti in tutti quei momenti in cui non sono di fronte allo schermo, grande o tascabile che sia.
Mentre le case si popolavano in pochi anni di smart speakers come Google Nest e Amazon Echo, i podcast sono passati da fenomeno di nicchia a trend in crescita esponenziale. E non c’è da stupirsi quindi che in questi mesi siano persino nati social media come Clubhouse, basati per intero proprio sui contenuti audio.
Un podcast chiede all’ascoltatore uno sforzo mentale molto minore rispetto ad altri tipi di contenuti: leggere un libro o guardare un film è chiaramente molto più impegnativo che ascoltare un file audio. Non è un caso che a fianco, e per le stesse motivazioni, del crescente seguito dei podcast, stiano riscuotendo sempre maggior successo anche gli audiolibri, in cui il vantaggio del medium si fa evidente: poiché in termini di contenuti si tratta pur sempre di libri, la preferenza è trainata evidentemente dalla modalità di fruizione, molto più semplice rispetto alla tradizionale lettura.
Al minore sforzo di concentrazione, inoltre, corrisponde anche un maggiore coinvolgimento emotivo. La voce, strumento centrale e fondante del nuovo media, sposta la comunicazione su un piano intimo ed emotivo e rende i contenuti, se governati nel modo corretto, particolarmente suggestivi. Le vibrazioni della voce e un lessico adeguato trasmettono agli ascoltatori stimoli vividi, che evocano con immediatezza ambienti, situazioni, odori, atmosfere. È anche questa peculiarità a fare del podcast uno strumento formidabile per la comunicazione di marca.
Ovviamente, creare un podcast richiede di soddisfare tutto un insieme di requisiti e passaggi tecnici senza i quali non è possibile sfruttare le sue enormi potenzialità. Creare un contenuto di successo presuppone una minuziosa progettazione creativa, ancor prima che tecnica, per rispondere all’esigenza di content capaci di diventare racconto, viaggio, esperienza da condividere.
Così, un branded podcast permette al marchio di prendere vita: dare una voce al proprio brand consente agli ascoltatori di sentire più facilmente il bagaglio di emozioni veicolate dal marchio in tutti i suoi processi di comunicazione, unendo e sovrapponendo livelli e registri. Un compito difficile che il podcast esegue egregiamente, riuscendo ad avvicinare il brand al consumatore, permettendo all’azienda di diventare una persona e di instaurare con i suoi interlocutori un dialogo ad alto valore aggiunto informativo ed emotivo.
A questi vantaggi intrinsecamente legati alla percezione del brand, possiamo aggiungere infine anche un fattore di contesto. Fare branded podcast oggi significa anche essere pionieri – almeno ancora per un po’ – di un nuovo strumento di comunicazione: le varie applicazioni di podcasting o di streaming audio sono un territorio ancora relativamente vergine per i brand, cosa che le rende estremamente competitive rispetto ad altri strumenti. Ciò comporta che, oltre ad intercettare una fisiologica curiosità del pubblico, con un podcast di brand è possibile garantirsi un primato presidiando un canale poco affollato.
La lotta per la conquista dell’attenzione è e continua ad essere il terreno di uno scontro decisivo. È sempre e ancora il pubblico ad avere l’ultima parola: quale voce emergerà dalla mischia mediatica? Con i podcast, in questo preciso momento storico, abbiamo la possibilità di fare di questa voce una vera e propria voce umana e personale, che si differenzia e ci differenzia in modo irresistibile sia per contenuti che per forma e linguaggio.